C’è aria di tempesta, ma odo augelli far siesta.

POETANDO

C’è aria di tempesta,

ma odo augelli far siesta.

Mi rallegro.

Mi raggranello.

Intanto scorron – prolissi – fiumi

di parole

fluide.

Giochi di parole,

tra noi.

Parole, soltanto parole

parole d’amor.

M’immergo nella natura

delle cose,

assolute

abbacinate di luci e voglie.

M’abbandono ai miei sensi –

disciolti in un olezzo

di vento.

E danze e balli in su l’aia,

frenesia e catatonia.

I campi fremono

di grano

sotto i dardi dell’estivo sole.

Maturano, polposi, frutti dorati

a sveller le voglie

d’una puerpera, prossima alle doglie.

Il largo, accogliente ventre di Demetra

ospita – adesso – lo zeffiro che sa di buono.

Soffio eterno, straniero, quieto, saporoso.

Effluvi di brezze – ed odor marino,

salso ed estenuatamente assetato d’azzurrità copiose –

si srotolano accidiosi sulle frasi pronunciate

dalle nostre labbra secche.

In plurime pronunce,

di deserti tempestosi.

Brucio di passione,

arduamente ardente

il desiderio

(ed ardito!).

Ci ritroviamo, alfine, tra le braccia

allacciate

nell’eterno ritmo d’un tango

flamenco. Un movimento sghembo ed obliquo,

che indulge a un lentissimo valzer

disiato e agognato.

Mentre la clessidra ruba

acqua e sabbia,

gemendo l’ore

in amplessi gemelli.

Narciso affoga nel suo proprio Io.

Taccion le cicale, sfinite dal loro frinire.

Suadentemente il tramonto

cala

il sipario delle fatiche immani

di sudate contadinotte.

A sorrider verso il domani,

lungo i giorni a venire.

Presto notte verrà

e lenirà,

col suo manto immacolato di stelle,

angosce e problemi d’umana razza.

Le terre respireranno,

i raccolti verranno stipati

e conservati, nelle madie e nelle dispense. Pienissimi i granai!

Le botteghe – intanto – chiudono

per poter riposare.

Oscurità arcana.

Dolce e struggente una nenia,

dove c’è una cuna,

s’eleva di spirito materno:

c’è una creatura a vagire.

Ed una donna che – ancora e ancora – spera

ed ancor crede, amando,

d’assicurar un posto al mondo

per l’inclito suo bimbo.

Teso nell’infinito, nel divino proteso…

Mai la prossima, fugace, tempesta l’avrà.

No, egli avvinto sarà

di speranze, ansie, ambizioni finanche.

E noi?

E noi torneremo ad incontrarci,

figli delle stelle,

per abbracciarci nelle calde e quiete stalle!

ANNA MARIA NOIA

23 LUGLIO 2022

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INTERROGANDO LE STELLE

Tarde stelle dell’Orsa

e vaghe,

orsù ditemi – benigne –

ov’è il mio stracco

amore,

nel mio errare

ed eterno peregrinare.

E sbagliare.

Ditemi dell’incanto fatato

di nuvole e piogge:

che acqua sia!

Rugiada!

È tutto un attimo,

l’essenziale è parte di me:

it’s me!

Ondivaga

lontana

vado;

dove mi porta il cor:

al cuor non si comanda,

né domanda avrei da porre…

Sabbie melmose

affascinanti

attraverso,

e deserti,

fonte della primissima,

incancellabile,

passione.

Ed interminati interspazi,

intertesti,

ipertesti

iperspazi

mi sovvengon reali;

vicini, totali…

Messianiche attese replicansi,

oh, perduto mio uomo,

mio bene!

Si muore di lent’agonia.

Intanto frugo

desideri

nelle pieghe (e piaghe)

dell’animo:

come in tasche da riempire.

Tu ridi, sì, ridi tu…

Senza un motivo, un perché non c’è mai!

Il Kaos (è) strisciante,

è il Virus (veneno)

serpeggiante.

Un profluvio affluisce,

di cose smarrite nel ricordo,

defluisce

effluisce.

Sento le brezze venirmi incontro ed abbracciarmi,

per sfogare un dolore lancinante,

di ferite inferte e poi colpite. Poi restituite. A te, ad altri…

Il tempo fugge e spezza

l’odio e le catene.

Solo noi saremo sbalzati – però –

dal nostro caldo posto nell’alcova fredda.

Così sembra, così è. E sarà…

Soltanto io e te

andremo di schiena,

come in un duello,

verso chi insegneremo ciò che

abbiamo imparato e studiato assieme. Sotto le coltri rassicuranti,

ch’in inverno scaldano la vita.

Addio, o caro!

ANNA MARIA NOIA

19/20/21/22 e 23 luglio 2022

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GIOCHI DI LETTERE E DI PAROLE

Invisi a Dio,

divisi

gli uomini del mio tempo!

E, al contempo,

fuori dal tempio

(odi “pro-fanum” vulgus!)

divinità pagane

a sotterrar la fede.

Nei corridoi de’ cieli, gemme donate.

Sorprese donne a sciogliersi i capelli:

come poterne sapere odori e altri beni?

Storie quotidiane, di banalità;

un orologio fermo dall’eternità

iniquità

empietà…

Tutto scorre quali fiumi mai ripetitivi,

tutto giace

nei giardini arabescati

dal sole e dall’ombre.

Inebriati d’acque d’ogni dove…

Nell’ampio atrio

si vede un puntino

corpuscolare

lenticolare

crepuscolare.

Un desiderio, ed ecco

il pensiero vaga,

va va…

S’asconde, si diffonde

s’estende.

Il fato sfata

apparizioni oscene,

fatali.

In un gorgo m’immergo,

qual gorgone Medusa.

Una megera!

Silenzio. Ovattato.

Tace l’interno trillo, di coscienza,

nella mia vacua mente

tesa ad orizzonti perdutamente arcani.

Lenta la cera della candela

sperde sue spore sui fogli sudati,

il vento disperde le concitate lotte

di guerrieri tempestosi.

Guardando fuor dalla finestra scopro e veggo

incantesimi d’uncinetti e di cuciti

a crear le brame

d’insonnolite creature

e capricciose.

Brina e rugiada,

purissime,

soffieranno trepide e tremule

sul mio grembo affannato. Affaticato.

E sarà sera, mattina verrà

e l’alba planerà – voluttuosa –

a piluccar grappoli

d’innocente ambrosia,

versata da Ebe e Ganimede.

ANNA MARIA NOIA

17 LUGLIO 2022

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